Se devo scegliere un senso, scelgo la vista. Fin da piccola ho sempre disegnato occhi, quando il telefono aveva un filo che ci teneva attaccati a quell’angolo buio, e io stavo in interminabili conversazioni seduta a parlare, lasciavo traccia di occhi disegnati in ogni microscopico tessuto cartaceo a disposizione.
Sole Luna Stella si apre con l’immagine di una sezione di occhio e con il racconto della nascita del Creatore nei panni di un bambino.
“Ma adesso, sotto le spoglie di un piccolo umano,
avrebbe anche visto le cose,
e le avrebbe viste in maniera imperfetta,
attraverso due occhi umani,
ciascun occhio una piccola macchina da presa fibrosa.”
Il racconto continua narrando ciò che il piccolo bambino vede, o meglio descrive ciò che non vede. Racconta di luci e di ombre, di sfumature. Il testo è intervallato dalle magnifiche tavole di Ivan Chermayeff. In realtà l’editore Paolo Canton ci ha raccontato che Vonnegut raccolse la sfida lanciatagli dal proprio editore americano che gli sottopose le tavole di Chermayeff chiedendogli di scrivere un pezzo a partire proprio da quelle immagini.
La natività che crea Vonnegut racchiude in sé il senso dello stupore degli occhi sul mondo e descrive magistralmente quello sguardo bambino, inafferrabile e profondo.
Chiunque abbia tenuto tra le braccia un bambino appena nato, ricorda quello sguardo che pare non vedere, che pare stupirsi per cose che noi non vediamo, che trapassa il nostro sguardo adulto. Questo è il racconto di quell’esperienza. Le figure di Giuseppe, di Maria e della levatrice emergono come simboli di luce e forme per quel piccolo bambino che, sapiente, osserva il proprio osservare. E come la vista, anche i suoni dapprima ovattati, poi sempre più chiari e decisi, emergono nello scorrere delle pagine.
E’ un libro, in fondo, che racconta l’inizio di un cammino fatto di impressioni e di scoperte, ma anche di fiducia totale nei confronti di quello che di bello e semplice accade lasciando scorrere il tempo.